All’indomani dalla scomparsa dello scrittore israeliano, Amos Oz, il Taobuk Award for Literary Excellence porge l’estremo omaggio allo scrittore, ricordando che appena 6 mesi fa, a Taormina, in occasione del Festival Letterario internazionale ideato e diretto da Antonella Ferrara, Amos Oz è stato premiato con il Taobuk Award for Literary Excellence.

«All’indomani della sua scomparsa – sottolinea Antonella Ferrara – quel messaggio suona, se possibile, ancora più forte e illuminante. È perciò con grande emozione e cordoglio che Taobuk porge l’estremo omaggio ad Amos Oz, nella consapevolezza del significato che assume oggi avere avuto l’onore di ospitarlo in una delle sue ultime apparizioni pubbliche: una lectio magistralis e un incontro con il pubblico, coronati dalla premiazione e da cui sono emersi contenuti di altissima levatura civile, com’era nella statura etica di questa straordinaria personalità, non solo voce critica di Israele e figura di riferimento per la cultura ebraica, ma un maître à penser a tutto tondo, che ha saputo esprimersi attraverso i romanzi, come nei saggi e negli articoli giornalistici,dopoavere anticipato il suo intervento con il testo inedito, pubblicato in esclusiva su un importante quotidiano».

Uomo di pace e tolleranza, lo scrittore israeliano anche in occasione del Taobuk ha lanciato un messaggio sul problematico rapporto con la fede: Non credo in Dio, ma ne ho paura. Sono nato a Gerusalemme, ma ne so quanto voi di Dio, non so se si tratti di un lui o una lei, ma secondo me non è un grande amico dell’ umanità. Non so darmi altra risposta se penso a quanto la nostra vita sia piena di dolore, sofferenza, ingiustizie, orrore. Allora mi è molto difficile pensare alla figura di questo Dio buono: dite quello che volete, ma mi spaventa e terrorizza da morire».

E poi Amos Oz si svela: «Sono nato nel lontano 1939 e mi rendevo conto già da piccolo, tra gli orrori della guerra, che intorno a me morivano non solo gli adulti ma anche i bambini. E allora ho pensato che fosse decisamente una cosa più sicura se avessi avuto la possibilità di crescere diventando un libro:  è vero pure che i libri si possono distruggere così come si può privare gli esseri umani della vita, però può darsi magari che una coppia superstite sopravviva in una remota libreria a Reykjavik, San Paolo, Tokyo. Ma adesso che sono cresciuto sono felicissimo di non essere diventato un libro e trovo più piacere nel vivere da essere umano, è molto più eccitante. Certo vuol dire anche provare dolore e scontento, però perlomeno non ho passato il novanta per cento della mia vita dimenticato su uno scaffale coperto di polvere! Poi vi voglio confidare un segreto e per quale ragione mi considero un narratore: quando avevo cinque anni ero gracile e quindi piuttosto lento, non sapevo cantare, non sapevo danzare, non ero proprio il massimo negli sport. Dall’ asilo in poi, per tutta la durata della scuola, l’unico modo che avevo per attirare le ragazze era raccontare loro delle storie. Ho capito presto che narrare è l’azione umana più antica del mondo, più antica della letteratura, dei romanzi lunghi e brevi, della tradizione orale, della ricostruzione dei fatti storici. Già al tempo delle caverne i primitivi usavano elaborare racconti, immaginate l’atmosfera, le grotte di notte, illuminate solo dalla luce del fuoco, immaginate questi esseri, seduti intorno ai legni ardenti, mettere a disposizione degli altri la propria fantasia e raccontare esagerando la realtà, o elaborando i loro sogni. Se mi chiedete a quando risale la narrazione, secondo me è assai più antica addirittura della sessualità umana, che si differenzia da quella animale perché coinvolge e riguarda sempre una storia, se non addirittura una fiaba, nel senso che spesso noi attiriamo il nostro partner con racconti che affascinano la sua testa. E quindi il narrare è addirittura più antico di quanto non lo sia la sessualità nell’uomo».

 

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